IL RITROVAMENTO DEL GUERRIERO DI CAPESTRANO IN UN VOLUMETTO ILLUSTRATO, STORIA VERA DAI CONTORNI FIABESCHI
CAPESTRANO – Poche pagine, un racconto corale, la celebre scultura del VI secolo a.C. raffigurante un guerriero dell’antico popolo italico dei Vestini ritrovata per caso nel 1934 e diventata simbolo dell’Abruzzo, protagonista di un volumetto illustrato che ripercorre, tra realtà e fantasia, proprio quel ritrovamento.
Insomma, una storia vera che ha i connotati di una favola, per dirla con le parole di Maria Giovanna Cicciari, regista e ricercatrice, insieme ad Elizabeth Tomasetti (illustratrice) autrice de Il ritrovamento del mammoccio ovvero del Guerriero di Capestrano, presentato davanti a un folto e internazionale pubblico nel giardino dell’agriturismo Terra di Solina, a Capodacqua di Capestrano (L’Aquila), in un incontro diventato occasione di discussione sull’archeologia e le scoperte compiute nel corso di decenni di scavi, ricca di curiosità, aneddoti e domande ancora senza risposta.
“Dalle prime ricerche”, ha detto la Cicciari, “mi ero imbattuta in teorie esoteriche, che avevamo ribattezzato esoturistiche; dal racconto di due capestranesi, senza che io ponessi alcuna domanda, ho appreso quello che è il racconto popolare”.
“Michele Castagna una mattina va a zappare la terra per preparare il vigneto, incontra un sasso, il lavoro si interrompe, inizia a piovere e torna a casa. Dopo tre giorni trova nel campo quel che lui chiama mammoccio, cioè questa pietra che aveva fattezze umane”, ha raccontato l’autrice. “Chiama una persona che conosce che lo aiuta a trasformare il guerriero a casa sua, si dice che abbia usato il cappello del guerriero come mangiatoia per le galline. Secondo altre versioni, invece, si accorge dell’importanza del ritrovamento, chiama la Soprintendenza, arriva il camion a ritirare la statua e a Michele danno un compenso”.
“Ho voluto ri-raccontare la storia come una favola ampliando però alcuni elementi. Ho intervistato Tiziana Speranza, la nipote di Michele e di Ersilia Di Cesare, che mi ha permesso di dare un corpo a queste persone”.
“Ho deciso di rendere protagonisti della storia non solo Michele, ma anche sua moglie Ersilia, i loro figli e ho allargato la famiglia a tutti quelli che sono i protagonisti: la pioggia, il mulo, i capestranesi”, ha continuato la Cicciari. “Ho tolto il racconto popolare del cappello utilizzato per le galline, perché volevo raccontare la storia in modo inedito, originale, e perché secondo un saggio il cappello fu ritrovato diviso in diverse parti”, ha poi rivelato l’autrice.
Diversi gli elementi controversi, come quello che riguarda il trasporto della statua, “alcuni sostengono che quello dal campo alla casa non sia mai avvenuto”, o le testimonianze, come quelle di Osvaldo Caruso ed Elena Carli, bambini nel 1934: “Il primo non ricorda quasi nulla del ritrovamento, la seconda racconta che in quel giorno di fine estate, dall’altra parte del vallone in cui abitata e da cui poteva vedere la casa dei Castagna, vide un sacco di persone, rumori e confusione, ed è l’unica testimonianza diretta che si ha di questo ritrovamento”.
Il ritrovamento del mammoccio ovvero del Guerriero di Capestrano contiene anche una mappa del luogo del ritrovamento del Guerriero, “perché se c’è una cosa certa è che pochissimi capestranesi conoscono il luogo esatto”, è stato fatto osservare durante l’incontro organizzato dallo Strano Film Festival, per il secondo anno saltato a causa delle rigide misure anti-Covid.
“Il nostro Guerriero di mestiere faceva il re”, ha ricordato Vincenzo D’Ercole, archeologo per una vita impegnato in campagne di scavi in questa parte d’Abruzzo, “ci sarebbe da chiedersi re di cosa, non credo solo di Capestrano né dei Vestini che popolavano quest’area, ma neanche dei Vestini che abitavano a Loreto Aprutino, a Penne, fino al mare, ma di tutti i popoli fino al Molise”.
“Nevio Pompuledio non lo conosce nessuno, a Capestrano ovviamente c’è questo orgoglio ma altrimenti nessuno ne sa niente”, ha fatto poi osservare D’Ercole, “l’opinione pubblica ma neanche gli archeologi. C’è un interesse particolare per alcune aree, pensiamo a Pompei, ma non c’è interesse per gli Italici, vissuti tra Marche, Umbria, Abruzzo, Molise”.
Dal professor D’Ercole anche una stoccata alla mancata valorizzazione dei beni archeologici: “Noi avremmo i contenuti, bisogna trovare il modo di esporli”, ha detto, “anche senza i reperti, senza la statua attualmente ancora conservata a Chieti, si potrebbe fare di tutto per promuovere il territorio. L’Abruzzo non è solo chiese, castelli e città romane, c’è molta storia prima”.
“Ho scavato per tanti anni cercando di conoscere i popoli italici, in questo caso i Vestini, prima della conquista romana”, ha ricordato D’Ercole, facendo notare come altri resti rinvenuti nel 1937, probabilmente i piedi di una statua femminile e un altro guerriero, siano scomparsi: “Mi piacerebbe che si facesse una ricerca, che tutti i capestranesi cercassero questi resti, probabilmente rimasti in qualche fondaco, di cui però non abbiamo alcuna immagine, sappiamo solo che la statua maschile era praticamente uguale al guerriero”.
“Mi sono cimentato con il recupero di un vitigno praticamente scomparso, quello dell’Aleatico, ma mi affascina, attraverso la tecnologia e la passione degli archeologi, il recupero delle cultivar con cui si faceva vino al tempo di re Nevio Pompuledio”, ha detto Alfonso D’Alfonso, padrone di casa, imprenditore agricolo titolare di Terra di Solina. (m.sig.)
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