Cronaca 13 Ago 2017 18:35

GINA E LA STORIA DELLO ZAFFERANO, “QUANDO UNA BUSTINA DI ORO ROSSO COSTAVA 30 LIRE”

GINA E LA STORIA DELLO ZAFFERANO, “QUANDO UNA BUSTINA DI ORO ROSSO COSTAVA 30 LIRE”

NAVELLI – “La prima volta che andai a raccogliere i fiori di zafferano ero una bambina di appena tre anni”. Comincia da lontano il denso racconto di una vita scandita dal ciclo vegetativo e dai colori dello zafferano, colori forti come la tempra di Giovannina Sarra, detta Gina, anziana e pimpante signora di Civitaretenga (L’Aquila), testimone diretta e custode della vera storia dell’oro rosso dell’altopiano di Navelli, prodotto e garantito dal marchio Dop.

Ci vorrebbe una vita per raccontare il grande e unico amore di Gina: “lo zafferano l’ho sposato”, dice allegramente mentre ci accoglie nella sala da pranzo della sua abitazione che trasuda tutto intorno il profumo di Crocus sativus.

Si tratta dell’azienda Casa Verde, il primo agriturismo d’Abruzzo. Nel cuore del paese che domina l’altopiano di Navelli, con lo sguardo verso San Pio delle Camere da un lato e Caporciano dall’altro, la “casa dello zafferano” di Civitaretenga, dove si può mangiare e dormire in un clima accogliente e casalingo, è stata meta di viandanti, compratori e personaggi illustri sin dagli albori, quando “una bustina di zafferano in polvere costava trenta lire”, ricorda Gina mentre versa in un bicchierino un sorso di liquore all’inconfondibile sapore di oro rosso.

Gina è la sorella del compianto Silvio Sarra fondatore, nel 1971, della cooperativa Altopiano di Navelli, nata per scongiurare la perdita di una coltura che rappresentava da secoli la fonte più importante di sostegno per le famiglie di tutto il paese. Una tradizione che ha rischiato di scomparire a causa dell’introduzione nel mercato di sofisticazioni straniere a basso costo dello zafferano in polvere.

“È considerato il fiore dell’amore, simbolo di salute, ricchezza e prosperità – dice Gina orgogliosa – Quando una coppia convolava a nozze era tradizione servire durante la cerimonia il dolce allo zafferano fatto con ricotta e liquore”.

Questa era una delle poche occasioni in cui i contadini potevano assaporare il frutto pregiato delle loro pazienti fatiche. Le produzioni erano infatti destinate ai mercanti aquilani che rivendevano i pistilli rossi ai ricchi acquirenti del nord Italia e anche ai palati più raffinati dei paesi stranieri, come la Germania, l’Austria e il Belgio. Per questo non ci sono piatti tipici della tradizione contadina dell’epoca, lo zafferano, onore e vanto di tutti gli abitanti dell’altopiano, era un bene troppo prezioso per essere consumato.

Oltre alla cerimonia di nozze, lo zafferano si poteva consumare in occasione delle festività natalizie, quando in mancanza di uova fresche a causa del freddo, l’impasto dei dolci veniva colorato con il giallo zafferano. La stessa pratica si usava anche per le pizze di Pasqua, “era più facile vendere le uova che i pistilli rimasti – spiega Gina – ecco svelato il segreto di dolci così carichi di colore e aroma, un profumo che inebriava tutto il paese”.

I bulbi di zafferano si davano anche in dote alla sposa prima delle nozze, come testimonia “un contratto di matrimonio dell’anno 1777. I bulbi si custodivano in un cofanetto di legno con le incisioni degli sposi – rivela l’affabile signora – che, una volta chiuso a chiave, si metteva sotto il letto, non solo per evitare un qualsivoglia tentativo di razzia, le proprietà afrodisiache del fiore profumato erano infatti di buon auspicio e di stimolo alla nascita della prole. Per curare invece il mal di pancia e altri malanni, la persona più anziana della casa era solita preparare una mistura di zafferano, crusca e semi di lino”.

Non tutti sanno che lo zafferano della conca aquilana divenne famoso – erano gli anni ’70 – grazie al popolare programma televisivo Portobello di Enzo Tortora, che ospitò nel corso di una puntata i fratelli Silvio e Gina di Civitaretenga.

“Scrissi a Tortora perché avevo in camera da letto due quintali di bulbi invenduti, la cooperativa non aveva soldi per affittare un locale per lo stoccaggio, grazie alla rubrica di Tortora ne riuscimmo a vendere uno scatolone a 300mila lire al chilo. Dopo la trasmissione ricevetti quattrocento lettere da tutta Italia -ricorda Gina – alle quali risposi una ad una”.

Quella sullo zafferano dell’Aquila sarebbe stata la penultima puntata di Portobello prima dell’arresto di Tortora. Un’occasione di lancio preziosa per i fili d’oro rosso dell’Aquila.

Tra i visitatori della casa dello zafferano di Civitaretenga anche lo chef Gualtiero Marchesi: “Noi non sapevamo chi fosse. Di personaggi famosi ne capitavano tanti a comprare il nostro oro ma in paese erano in pochi ad avere la televisione. A questo signore – ricorda Gina – offrimmo un bicchiere di vino e del pane fatto in casa con un filo d’olio e una fetta di salame. Solo dopo scoprimmo chi fosse”.

Il ciclo di vita dello zafferano culmina con la raccolta dei fiori, a ottobre “si usciva la mattina presto, era ancora notte e faceva molto freddo – racconta – partecipava tutta la famiglia, bambini compresi. Quando si tornava a casa si stendeva una tovaglia e sul tavolo carico di fiori cominciava la sfioratura”.

Un rito corale al quale partecipavano tutti, “se in una casa si finiva in anticipo di sfiorare, si andava ad aiutare chi era ancora impegnato nell’opera minuziosa di separare i pistilli dai petali, il bello del nostro paese – dice Gina con fierezza – un teatro di incontri e passioni, racconti, nascite di nuovi amori e condivisione di una pratica di vitale importanza per la collettività intera. Lo zafferano l’amore lo generava davvero”.

“Finita la sfioratura, la nonna accendeva il camino e preparava il setaccio. Dopo l’essiccazione si prendeva lo strofinaccio, possibilmente di canapa o di lino, per avvolgere il fagotto di pistilli essiccati e già custoditi nella lana di colore rosso”, si diceva infatti che i colori scuri conservassero meglio il bene prezioso.

Lo zafferano, dopo la preparazione, finiva nel famoso scrigno di legno, “alcuni avevano addirittura un baule” dice ancora Gina in riferimento alle famiglie con le produzioni più ricche, “la mia famiglia è arrivata a produrne fino a cinque chilogrammi”.

E se una volta lo zafferano nelle cucine locali era un tabù, ai giorni nostri l’infaticabile Gina per farlo apprezzare al meglio nel suo gusto unico e delicato lo servirebbe in fritto. Crocchette di ricotta, zucchero e zafferano, impanate e poi bagnate in una lacrima di liquorino, con l’aggiunta di tanto sentimento, ingrediente indispensabile nella cucina di Gina.


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