LA ASL DELL’AQUILA, ECCO GLI INGREDIENTI DI CUI SI NUTRE LA MAFIA DEI PASCOLI

L’AQUILA – Animali la cui provenienza è spesso difficile da tracciare, asini al posto di pecore, assenza di documentazioni o difficoltà ad ottenerla, anche a causa di diversi sistemi di archiviazione e trasmissione tra enti, assenza di strutture montane in cui controllare gli armenti.
Sono gli ingredienti di cui si nutre la cosiddetta mafia dei pascoli, secondo quanto afferma Mario Mazzetti, direttore del Servizio veterinario di sanità animale della Asl Avezzano-Sulmona-L’Aquila.
A Virtù Quotidiane, che oramai da anni dedica approfondimenti al fenomeno che vedrebbe grandi aziende di fuori regione occupare vaste aree di terreni con il solo scopo di accedere ai fondi europei, pur senza garantire l’effettiva attività di pascolo degli animali, il funzionario svela tutti gli ostacoli che la Pubblica amministrazione trova sulla strada della lotta alle infiltrazioni criminali sui pascoli abruzzesi.
Gli stessi finiti nell’occhio della magistratura siciliana, che non più tardi di qualche settimana fa ha arrestato 94 persone e sequestrato 151 imprese agricole, proprio nell’ambito di un’inchiesta su presunte frodi ai danni dell’Unione europea.
“I pascoli abruzzesi sono soggetti a due tipi di rischio, il primo riguarda la possibilità a carico degli armenti di contrarre malattie infettive visto l’elevato numero di capi di bestiame in transumanza, il secondo rischio è legato invece a possibili contaminazioni di interesse speculativo”, afferma Mazzetti.
Il veterinario della Asl considera necessaria un’opera capillare di “vigilanza e controllo del territorio, azioni che richiedono investimenti, risorse e soprattutto una rete di monitoraggio tra enti, istituzioni e forze di polizia, che deve essere governata da una cabina di regia a livello regionale”.
Mazzetti ammette la possibilità di contaminazioni speculative, tuttavia spiega che “noi come Asl non possiamo governare il settore delle possibili infiltrazioni criminose anche se entriamo in relazione con tutta la parte documentale che determina l’arrivo di bestiame proveniente da fuori regione”.
“Due anni fa – rivela il funzionario – dopo accertamenti e prontamente allertati dalla guardia municipale del Comune di Lucoli, abbiamo rimandato indietro un carico di asini che era arrivato sui pascoli montani al posto delle pecore previste”.
Un sistema però non sempre facile da monitorare soprattutto quando, stando alle dichiarazioni di Mazzetti, il Servizio veterinario non riceve la notifica di arrivo del bestiame, una sorta di “bolla di accompagnamento” autorizzativa, sia essa cartacea e non sempre inoltrata prontamente dai Comuni, oppure digitale, inviata solitamente dal sistema informatico nazionale, di cui però non tutte le regioni sono dotate.
Il sistema informativo nazionale, in tempo reale, digitalizza e condivide, con i servizi sanitari delle Regioni, le richieste di trasporto degli armenti da un territorio all’altro. Di tutte le Regioni d’Italia mancano all’appello Veneto, Trentino Alto Adige e Lombardia che lavorano con certificazione cartacea.
A questo si aggiunge, come spiega il direttore, la difficoltà, da parte del Servizio veterinario, nel trovare strutture montane di raccordo, praticamente grandi stalle “parcheggio” per il controllo sanitario degli animali e per altre eventuali azioni di monitoraggio.
È bene sapere che l’accesso di un capo proveniente da fuori regione impone la sottoscrizione dei certificati di autorizzazione e di accesso, oltre a un codice di pascolo: “Una serie di filtri sicuramente molto stringenti – rileva Mazzetti – non è che chiunque può arrivare e scaricare”.
Certo è che quando viene emessa una certificazione di trasporto animale nel sistema informativo nazionale, “a noi del Servizio veterinario arriva una pre-notifica che ci permette un’azione di coordinamento con i Comuni per la verifica delle condizioni sanitarie. Può tuttavia accadere – ammette – che il carico di bestiame arrivi a destinazione con un certificato cartaceo che non viene trasmesso in tempo reale al Servizio sanitario”.
Questo significa che non sempre tutti gli organi competenti riescono, o vogliono, comunicare tra di loro, per ovviare ad una situazione che, inutile ribadirlo, favorisce attività illecite.
Quello che rileva Mazzetti, a fronte dei numeri contenuti nel Rapporto annuale 2019 dei pascoli e della Transumanza per provincia di origine, è che il Servizio veterinario della Asl può monitorare i capi di bestiame appartenenti alle imprese agricole locali in movimentazione sul territorio ma che la stessa operazione non è sempre possibile per armenti provenienti da fuori regione.
Circa il 50 per cento degli animali in alpeggio, secondo il grafico del rapporto, si trova sui pascoli del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, per un totale di quasi 15 mila capi.
Al secondo posto per numero di animali al pascolo c’è il Parco regionale Velino Sirente con oltre 9 mila capi, poi il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise con quasi 8 mila e trecento animali, a seguire la Maiella e i Monti Simbruini per un totale complessivo di quasi 40 mila capi, tra ovini, bovini ed equidi.
La presenza più corposa dei capi per provincia di origine è quella dell’Aquila con circa 12 mila e 500 animali, seguono le province di Foggia, Avellino e Latina.
I comuni della provincia dell’Aquila con il più alto numero di animali al pascolo sono Castel Del Monte (4.374), Scanno (4.040) e Lucoli (3.601). Il comune dell’Aquila conta 3.538 capi.
“Questi dati evidenziano che le movimentazioni da fuori regione, quelle tracciate, non sono poi così numerose ma andrebbero messe in relazione – puntualizza Mazzetti – con le domande e soprattutto con i premi percepiti dall’Unione Europea”.
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