Cronaca 29 Nov 2018 18:25

LA STORIA DI FABIO E JESSICA, I GIOVANI INGEGNERI CHE FANNO RIVIVERE LE PAGLIARE DI TIONE

LA STORIA DI FABIO E JESSICA, I GIOVANI INGEGNERI CHE FANNO RIVIVERE LE PAGLIARE DI TIONE

TIONE DEGLI ABRUZZI – È una storia di amore per le proprie origini e per gli altri, quella di Fabio Panella e Jessica Ciccarone, fondatori dell’associazione “Il Melo Di Nonno Dario” che dalla scorsa primavera sta regalando un’incredibile opportunità al comune di Tione degli Abruzzi (L’Aquila) e a tutto il territorio.

I due giovani, 35 anni lui e 29 lei, hanno aperto le porte della loro casa alle Pagliare di Tione con l’idea di preservarne e valorizzarne l’unicità. Parliamo di antichi insediamenti rurali che nella bella stagione ospitavano gli abitanti dei paesi sottostanti, che vi si trasferivano per dedicarsi al pascolo e all’agricoltura.

Con il passare degli anni, il borgo è stato abbandonato per poi rivedere, in alcuni casi, una graduale ripresa con ritrovi della domenica e case per l’estate. Certo è che vivere anche solo per pochi giorni in queste case è un viaggio fuori dal tempo: siamo a più di mille metri di altitudine, non ci sono utenze e per acqua, gas e luce ci si arrangia con cisterne, bombole e lampadine a batteria.

Eppure, Fabio, nella vita ingegnere elettronico, si è ritrovato a passarci sempre più tempo, nei weekend e nei giorni di ferie, insieme alla sua famiglia e alla sua ragazza Jessica, molisana e laureanda in ingegneria chimica, rinunciando alle comodità ma guadagnandone in bellezza ed incanto.

I due ragazzi sono così innamorati delle Pagliare che hanno scelto di celebrare qui anche le loro nozze, previste per l’estate, nonostante tutti i disagi di organizzare un matrimonio in alta quota. Ma mancava ancora qualcosa.

“Abbiamo sempre notato – racconta Fabio a Virtù Quotidiane – che le persone che passavano da queste parti non riuscivano a godersi questo luogo così come facciamo noi. Potevano meravigliarsi del paesaggio, della particolarità del borgo abbandonato o al tramonto della totale assenza di inquinamento luminoso, ma dopo erano costretti ad andare via. Ci siamo detti perciò che dovevamo permettere alle persone che condividono l’amore per la natura di avere qualche agio in più”.

Nasce così da un’idea semplice qualcosa di innovativo e sorprendente. Se vi trovate a passare da quelle parti, noterete una casetta dalla classica struttura a pendio, tipica dell’architettura abruzzese spontanea, con due ingressi: uno al piano terra ed uno al secondo piano su un’altra facciata, su cui campeggia la scritta “Che cosa è la felicità?”.

Scendendo poi verso l’altro lato del pendio, troverete pancali blu diventati panchine, ed una bella staccionata con vista sulla catena montuosa del Sirente, tutto in materiale recuperato da altri ragazzi dell’associazione.

La filosofia che sta dietro il progetto vuole che chi arrivi possa godere di questi spazi, magari anche in autonomia, portando ad esempio un panino da casa; sempre ovviamente nel rispetto della natura e del luogo. Se poi la porta è aperta, al bisogno verrà offerto qualcosa di caldo o dell’acqua.

Il lavoro dell’associazione però, va molto al di là di creare un punto di riferimento: una passeggiata esplicativa sulla storia delle Pagliare è d’obbligo. Sono inoltre state già avviate diverse collaborazioni con altre realtà locali che si occupano di turismo sostenibile e sviluppo del territorio: escursioni in bicicletta, a piedi o a cavallo che terminano spesso con una degustazione di prodotti tipici e ricette della tradizione, preparati da Jessica, con l’aiuto dei genitori di Fabio.

“L’obiettivo – spiega – è creare una sinergia tra associazioni ed aziende locali per valorizzare il luogo, stando sempre attenti a non snaturarlo. Non accettiamo qualunque tipo di collaborazione perché vogliamo che questo posto resti disponibile per tutti i soci e non vogliamo assolutamente che diventi qualcosa di commerciale”.

D’altronde, il rischio è dietro l’angolo, essendo la storia del borgo legata a doppio filo con le tradizioni locali. Le Pagliare, come dicevamo, si ripopolavano in primavera con un vero e proprio rito: il parroco precedeva gli abitanti del paese e gli animali in una processione che, dopo quattro ore di camminata, giungeva finalmente a destinazione.

Le porte si spalancavano ed i camini tornavano a fumare. Si passava perciò dal silenzio assoluto alla vita, con le Pagliare che, parafrasando Massimo Lelj, noto scrittore di Stagioni al Sirente, tornavano a respirare. Cosa che, in un certo senso, sta accadendo di nuovo dopo decenni, grazie a Fabio e Jessica.

Dietro il nome dell’associazione “Il Melo Di Nonno Dario” c’è poi una storia bellissima.

“Nel 1990 – racconta Fabio – mio nonno Dario veniva qui in giacca e cravatta a prendersi cura e a potare questo melo, che non dava nessun frutto se non qualche mela ‘pazza’, neanche buona da mangiare. Mi diceva ‘questa cosa va fatta, altrimenti l’albero rischia di morire’. Io, che allora avevo sette anni, non riuscivo a capire cosa ci fosse di così importante in quell’albero, solo più tardi ho realizzato cosa intendesse: mio nonno lo faceva semplicemente per il piacere di preservarlo”.

“Allo stesso modo – conclude – la nostra associazione è come quel melo: non dà frutti che siano tangibili in termini economici ma ci dà la soddisfazione di non far morire questo posto”.

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