“LONE CRASHES”, LA DESTRUTTURAZIONE DELLO SPAZIO NELLE OPERE DI DANIELE “GIOTTO” GIULIANI IN MOSTRA ALL’AQUILA
di Giorgia Roca

L’AQUILA – Immagini simboliche raffigurate in un non luogo che presentano i temi delle esplosioni e degli incidenti – elementi disturbanti – in assenza di persone. Sono opere piccole, accorpate, con le quali si entra in contatto diretto per trovarvi diversi livelli di profondità e chiavi di lettura.
Nella nuova mostra personale di Daniele Giuliani, in arte Giotto, che si apre domani all’Aquila negli ambienti della Fondazione Giorgio de Marchis Bonanni d’Ocre onlus, a Palazzo Cappa-Cappelli in Corso Vittorio Emanuele, il tratto di penna e di matite colorate svela uno degli aspetti più cari all’artista: la lentezza dell’esecuzione, a sottolineare il punto di riflessione e interiorizzazione di ciò che realizza e quindi restituisce.
Quella di Giotto è una forma di arte figurativa, che intende catturare immediatamente l’occhio dello spettatore e, al contempo, ridurre la distanza che potrebbe crearsi tra chi guarda e l’atto creativo prettamente astratto e concettuale.
Il curatore Emiliano Dante è riuscito a stabilire una sinergia ancora più marcata con l’artista, proponendogli sin dall’inizio l’idea di destrutturare uno spazio. Questa l’intenzione principale, sposata da entrambi, e che riconosce all’installazione, creata per l’occasione, la stessa rilevanza dei pezzi esposti.
“La mostra è il risultato di come gestire dei pesi emozionali; ogni persona ha una sensibilità, e qui abbiamo cercato di inserire delle opere intime costruite in un determinato spazio grezzo destrutturato. L’idea in primis è venuta ad Emiliano e immediatamente c’è stata una fusione tra noi, pur mantenendo entità singole e singoli punti di vista”, confida Giotto a Virtù Quotidiane.
La Fondazione Giorgio de Marchis, diretta da Diana Di Berardino, lo ha coinvolto nel progetto dal mese di gennaio: “Ha dato a me e al curatore carta bianca, segno di grande fiducia. Mi era stato offerto l’intero spazio della sede e ho pensato al modo migliore per interagire con esso. Non mi interessava invaderlo tutto, perciò mi sono riservato una sola sala perché a volte avere tutto significa non avere niente, e ci si può perdere”.
L’attività creativa di Giotto è accompagnata dall’ascolto di vari generi musicali, lavorando a Lone crashes ha spaziato dalla musica sperimentale alla classica, passando per il death metal.
Il punto di partenza del suo lavoro avviene in rete, dove ricava alcune immagini per sottoporle ad uno studio attento e ad una rielaborazione meticolosa. Saranno simbolo e dialogo per e con lo spettatore.
Le opere, 18 disegni su carta ai quali l’artista ha iniziato a lavorare diciotto mesi fa, dedicando circa una settimana ad ognuno, sono il prosieguo della serie precedente presentata nello spazio VarcoLabile e sono create con stati emotivi diversi e altalenanti, evidenziano un dualismo con la società attuale, ora iper frenetica e consumistica, ora sovrastimolata e filtrata.
“Nel 2022 siamo sommersi da stimoli e da tanti filtri e, invece, vorrei che avvenisse uno scambio tra le opere e gli spettatori”, riflette l’artista. “Oggi tutti noi corriamo ma, se ci fermassimo, ci accorgeremmo che intorno tutto brucia e qualcosa si sta consumando. Qui non ci sono filtri, c’è la mia tecnica, il mio linguaggio, che rappresenta qualcosa che non è fine a sé stesso e che non vuole assolutamente essere un esercizio di stile stucchevole, ne sarei terrorizzato. Non mi piace l’autocelebrazione né l’egocentrismo, io sento quello che faccio anche quando elaboro lavori commissionati. In questa mostra sono io al 100%, c’è la mia vita senza autocensure”.
Elemento ricorrente è l’automobile, che affascina Giotto da quando era bambino: “Mi è capitato di vedere dal vivo una macchina incendiata, mentre camminavo sul lungotevere, a Roma; nel giro di pochissimi minuti le fiamme hanno divorato un bene, senza che nessuno potesse far qualcosa. Possiamo paragonare questo al tempo che va, che si consuma e che, idealmente, pensiamo di poter gestire”.
L’incidente o l’esplosione riprodotta è e sarà necessaria a Giotto per la continua elaborazione di questa serie, che il prossimo anno toccherà altre città italiane.
Tutti i disegni sono sviluppati in profondità e hanno richiesto un lavoro di sottrazione, volendo portare chi li osserva in una dimensione di intimità e di lentezza: “Il segno è fondamentale per me, è legato a come sto in quel momento storico, dunque può essere nevrotico, statico, riflessivo, dinamico. Sono opere che provengono da anni di sperimentazione e che porterò sempre avanti”.
Giotto è convinto che ci sia sempre una forma di rigenerazione dagli eventi e non sa se sia peggio l’evento stesso o come se ne esce. Così, la mostra ripropone un evento cristallizzato, una forte compressione più o meno shoccante, ed è il risultato di come gestire i pesi emozionali.
“A volte può essere complesso iniziare e portare avanti un lavoro, quale proiezione di sé, in cui si attraversano diversi stati d’animo. È fondamentale credere molto in quello che si fa, anche volendo essere sovversivi; nella vita si può essere sempre sovversivi e questa mostra non è allineata. Non ci saranno accorgimenti per lo spettatore, di cui ho moltissimo rispetto, ma che non voglio accompagnare o al quale strizzare l’occhio”, conclude l’artista.
L’inaugurazione della mostra, che rimarrà aperta fino all’8 dicembre, è in programma domani, venerdì 18 novembre alle ore 18,00. La progettazione grafica dell’esposizione è affidata a Stefano Divizia e hanno supportato l’artista Mauro Mattia e Andrea Panarelli. Alla Fondazione, collaborano con la direttrice Barbara Olivieri, Olivia Di Michele, Martina Di Massimo e Alessio Rotellini. L’esposizione è realizzata con il contributo di F.lli Di Nardo e F.lli De Cesaris.
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