EREMO DELLA MADONNA DI PIETRABONA, UN’ANTICA STORIA DI MISTICISMO E DI SPIRITUALITÀ

CASTEL DI IERI – La storia e il tempo, qui, sono fusi nella pietra. Leggenda, culto pagano, fede cristiana si mescolano e si stratificano, così come gli elementi di vita quotidiana e quelli della tradizione. Soltanto la destinazione d’uso ormai è cambiata, prima fulcro della vita comunitaria, spirituale e ricovero per ammalati, oggi luogo del cuore e radice identitaria, testimonianza di un passato ricco, più di quanto si pensi; è l’eremo della Madonna di Pietrabona a Castel di Ieri (L’Aquila), uno dei luoghi più mistici e suggestivi d’Abruzzo.
L’eremo sorge sul costone del Vallone Rio Scuro, tra Castel di Ieri e Goriano Sicoli, nella Valle Subequana, incastrato a ridosso di una parete di roccia, vicino la quale un tempo scorreva l’omonimo fiume. Si raggiunge in auto tramite una stradina asfaltata che si incontra appena dopo il Tempio Italico e, dal parcheggio, non resta che percorrere il breve sentiero.
Si presenta così, celato e misterioso come tutti gli eremi, ma, una volta giunti alle sue porte, appare persino accogliente, familiare nelle sue fattezze semplici e ruvide.
Come si legge nel cartello all’ingresso, la chiesa rupestre è menzionata per la prima volta nella bolla papale di Lucio III nel 1183, e altri cenni si trovano poi in quelle di Clemente III nel 1188 e ancora di Onorio III nel 1223. Le testimonianze storiche, però, finiscono qui.
L’origine di questo luogo di culto, tuttavia, è certamente molto più antica. Gli edifici medievali, infatti, si sono sovrapposti alle grotte e ai cunicoli che già prima di Cristo – forse attorno al secolo V – ospitavano un tempio dedicato alla Dea Bona, la divinità pagana protettrice della salute e della fertilità.
Ma nulla è mai scollegato dal passato. La Madonna di Pietrabona – che probabilmente eredita il nome dalla Dea o dalla leggenda di un contadino salvato da una frana dalla Vergine – ha continuato per secoli a essere venerata per la sua protezione dalle malattie e dalle pestilenze, anche fino a tempi recenti, tanto che all’interno della chiesa troviamo ceri votivi ed ex voto in ceramica che accennano alla Spagnola del 1919 e a un ringraziamento addirittura dall’America.
È tradizione, inoltre, portare via dall’eremo un rametto d’edera come protezione dai malanni ed è certo che gli eremiti coltivassero piante medicinali, le quali, assieme alla preghiera e la fede, erano le uniche cure per gli abitanti della valle di un tempo.
Non tutti gli infermi hanno trovato salvezza nell’eremo però. Lo testimoniano il cranio e le poche ossa conservate nella grotta sotto la sagrestia, oggi dimora di pipistrelli, a cui si accede attraverso una botola, e lo attesta ancor più l’ossario attiguo al nucleo originario del santuario. Sono ossa lucide, perfette, che paiono finte fin quando la mente non realizza l’ovvio. Sono i resti degli appestati del 1600 portati qui dal paese, si dice, eppure non si direbbero tanto antiche.
La chiesa è semplice. Gli elementi di pregio sono un’acquasantiera, un’elemosiniera e un affresco raffigurante la Madonna con Bambino che ricorda quella più celebre del Botticelli. La pro loco “La Torre”, che cura l’ospitalità all’eremo, sta cercando di salvarlo raccogliendo fondi attraverso le visite.
Gli altri spazi sono quelli destinati alla vita degli eremiti, nei quali non resta che un tavolo, una panca, le rudimentali persiane alle finestre, delle piccole croci e i quadri di una Via Crucis. Tutto ricorda la vita che tra queste mura si è avvicendata secolo dopo secolo, fino a fermarsi. Tutto ricorda un legame con la spiritualità e la natura oggi purtroppo assopito.
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