IL SENTIERO PER FONTE OVINDOLI ALLA SCOPERTA DELL’ANTICO CASTELLACCIO DI ARISCOLA

L’AQUILA – Sul Gran Sasso è arrivata la prima spolverata di neve e così possiamo iniziare a pensare a mete alternative per le nostre escursioni, mete che non raggiungono elevate altitudini ma che sanno comunque offrire grandi emozioni e panorami spettacolari.
Siamo nel territorio di Arischia, nel comune dell’Aquila, quasi ai piedi di Monte San Franco, e la passeggiata qui descritta porta a Fonte Ovindoli e poi ancora ai resti di quello che fu il Castello di Ariscola, noto anche come Castellaccio.
Noi l’affrontammo in febbraio, incontrando appena un po’ di neve, ma è un sentiero che può essere percorso durante tutto l’anno.
Il nostro itinerario prende avvio lungo la SS 80, circa due chilometri e mezzo dopo l’abitato di Arischia. Poco prima del ponte Omo c’è una carrareccia che sale alla nostra destra, al cui inizio è posto un cartello del Percorso Memoria Natura che indica appunto, a 2 h di cammino, Fonte Ovindoli.
Dopo un primo tratto abbastanza ripido, il resto del sentiero è estremamente facile. Sebbene i segni dell’incendio dell’estate 2020 siano ben evidenti, la poca vegetazione permette tuttavia di scorgere alcune briglie di contenimento nei fossati a monte che sembrano quasi mura ciclopiche. Inoltre, non appena si apre la vista, il panorama diventa subito suggestivo con affacci sulla zona Le Ritorte e sul Colle Pago Martino.
In un’ora di cammino tranquillo arriviamo su un pianoro dove incontriamo un fontanile e, poco distante, un rudere: siamo già a metà percorso a un’altitudine di circa 1.300 m.
Qui dobbiamo prestare un po’ d’attenzione per proseguire, poiché il cartello di legno che indica Fonte Ovindoli lo troviamo caduto a terra e comunque non è visibile dal fontanile. Bisogna continuare a seguire la traccia del sentiero, superare un gruppetto d’alberi e, in corrispettiva del rudere, svoltare nettamente a destra, dove si scorgerà tra la pineta il nostro percorso.
Man mano che si dirada la vegetazione e che saliamo d’altitudine, lo scenario attorno a noi diventa più affasciante e selvaggio, col Vallone del Ferone, alla nostra sinistra, che via via diventa più profondo. Fin quando, come dal nulla, ecco che appariranno anche le cime del Gran Sasso: Pizzo Cefalone, Pizzo Camarda, Monte Ienca.
In appena 40 minuti raggiungiamo Fonte Ovindoli, dove facciamo una sosta per bere e per godere del panorama. Siamo a quota 1461 m.
Non resta che seguire il sentiero per qualche centinaio di metri e arrivare al pianoro, che si affaccia sulla Valle del Melo, da dove sono visibili diversi caseggiati in stato di abbandono, tra i quali Case Micantoni, usati un tempo per l’allevamento d’altura. Un piccolo colle evidentemente spianato in cima, proprio in direzione di Pizzo Cefalone, è la nostra meta finale, il luogo dell’antico Castello di Ariscola, che si raggiunge in non più di 20 minuti di discesa.
E lì sul piccolo colle (2 h di cammino) troviamo una serie di lunghi basamenti, che ricordano sia mura difensive, sia la composizione di quella che doveva essere la struttura interna del Castellaccio. Poco in apparenza, molto se si riesce a immaginare la storia nascosta sotto i nostri piedi.
Dagli scavi del 2003 è emerso che il mastio era di forma poligonale, lungo circa 75 m e largo 18, con un restringimento a nord che doveva probabilmente ospitare una torre. I basamenti ancora visibili appartengono al muro perimetrale occidentale e settentrionale. Le altre tracce di mura fanno ipotizzare che vi esistesse un insediamento castellano.
In base ai reperti recuperati, la datazione preliminare pone il Castellaccio in un arco cronologico che va dal secolo XI fino al XVI-XVII. Ciò che invece è pressoché certo è che si tratta di un unicum per il territorio, ovvero del solo “Castello di Passo” che dominava la pianura ai piedi del Gran Sasso. (1)
(1) FORGIONE A. 2010, I castelli di Ocre, Ariscola e S. Vittorino, in PATITUCCI UGGERI S. (a cura di), Archeologia castellana nell’Italia centro-meridionale. Bilanci e aggiornamenti, IV Congresso di Archeologia Medievale (Roma, CNR 27-28 novembre 2008), Palermo, pp. 27 – 49.
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