GIOTTO, L’ARTISTA CAPACE DI TRATTENERE E RIPRODURRE LO STUPORE

L’AQUILA – Appuntamento previsto per venerdì prossimo, 24 luglio presso VarcoLabile in via Giuseppe Verdi 6/8 all’Aquila, per la personale di Daniele Giuliani, in arte Giotto.
La mostra, intitolata “Segno di silenzio”, avrà una durata di una settimana e sarà aperta al pubblico in orario serale.
“Ci saranno dei pezzi estremamente personali e apparentemente molto diversi tra loro. Ho avuto occasione di riprendere delle serie che avevo creato anni fa, e che raffigurano più soggetti. Sono elaborazioni emozionali”, rivela a Virtù Quotidiane.
Si tratta di opere su carta realizzate con diverse tecniche sperimentate negli ultimi dodici anni con matita, penna biro, inchiostro, matite colorate e carboncino.
La sfida che l’artista vuole lanciare allo spettatore è quella di aprirsi ad un pensiero laterale, guardando le immagini allestite, avvertendolo che alcune avranno dei livelli di drammaticità.
“Dopo anni è la prima volta che ho la possibilità di fare una personale in uno spazio che è stato utilizzato per questo. Avere delle pareti spoglie disponibili è importantissimo perché è lì che l’elaborato cambia per diventare altro: non è lo spazio a fare l’opera ma riuscire a porre delle opere in uno spazio adibito a quello scopo permette di non avere contaminazioni visive”, fa osservare Giotto.
Classe 1977, Giuliani è nato con la curiosità che gli viaggia nelle vene e lo fa essere scopritore attento di ogni circostanza che vive, ancora adesso che non è più quel bambino che si sedeva in ginocchio ovunque fosse per poter disegnare, ed è diventato un brillante artista.
Da adolescente, portatore di una sana rabbia giovanile, rimane colpito dai vagoni dipinti della metropolitana di Roma: è così che si avvicina alla cultura urbana del writing, legata a quella più grande dell’hip hop.
Crescendo approfondisce le ricerche stilistiche, mettendo a frutto la sua attrazione naturale per la storia dell’arte, la storia della musica e certe forme di grandissima disumanizzazione, caratterizzanti alcuni periodi della storia del nostro Paese.
Lo spray è il primo medium che lo conquista e di cui si avvale. Per scrollarsi di dosso l’impressione di aver fatto fino a quel momento un mero esercizio di stile, negli ultimi dodici anni asseconda l’esigenza di tornare su carta e studiare, perché fermamente convinto che l’importante sia non smettere mai di muoversi.
“Credo che ognuno di noi debba avere la forza e la capacità di scavare dentro di sé, senza paura. Il primo meccanismo per creare un’opera si attiva da un’urgenza di esprimere la gioia o il dolore, indifferentemente. Il processo è un passaggio che dalla mia interiorità corre attraverso delle periferiche sino ad arrivare alla mano, che inizia a costruire o a decostruire”, dice Giotto.
Oltre ai tagli e alla composizione, ritiene il colore un elemento importante nella sua arte al pari del non colore, che dosa in base al grado di drammaticità che intende rappresentare su tela e sui muri. La scala cromatica è un linguaggio, dunque il disegno è una linea, una forma espressiva diversa dal disegno colorato.
Attratto da una forma di decolorazione che prevede l’utilizzo di gamme tonali tra il bianco e nero, sostiene che “la tecnica mi serve solo per esprimere un determinato soggetto”.
Da sempre abituato ad essere sollecitato dagli stimoli provenienti dalle più disparate forme d’arte, da adulto acquisisce uno sguardo nuovo, che gli consente di porsi via via domande differenti al mutare dei livelli di sensibilità acquisita.
Confessa un grande amore per il cinema e la musica, che lo hanno trascinato in luoghi vasti dell’immaginazione da quando era un piccolo spettatore del padre, che con cura montava video Super 8 con colonne sonore prese dai vinili.
Alla ricerca costante di un equilibrio tra le sue amate profondità e una difficile leggerezza da accontentare, Giotto crede che “il segreto è quello di saper osservare ed osservarsi. Esiste una relazione tra l’opera creativa e lo spettatore”. Evidentemente ha osservato a lungo anche le nature morte esposte ai Musei del Prado e di Capodimonte, ritrovandoci un intenso parallelismo con la vita.
Riconosce la presenza di artisti più o meno coraggiosi eppure molto validi nella scena contemporanea attuale, sebbene la medesima arte la consideri a tratti indecifrabile.
Da autodidatta qual è vorrebbe che ogni giovane, affacciandosi a questa professione, fosse animato da un forte spirito di osservazione e da un costante studio.
Fare pittura oggi la considera una valida risposta all’esigenza dell’essere umano di comunicare un qualcosa agli altri da uno o più punti di vista diversi, laddove nella società odierna tutto è pornografia. Una delle priorità della persona creativa è quella di non rendere tutto pornografico, appunto.
Giotto è un artista affamato di conoscenza in senso ampio e, come tutti gli individui che mettono la propria intelligenza al servizio della propria arte, rifugge dalla autoreferenzialità e dalla sterilità.
L’obiettivo che intende raggiungere grazie ai suoi lavori è quello di comunicare un qualcosa, scuotendo lo spettatore.
È consapevole di sembrare una persona molto aperta, tuttavia ammette di essere anche estremamente riservato nei confronti dei suoi pezzi, che protegge sino all’ultimo istante prima di donarli allo sguardo e al cuore altrui.
“Non voglio piacere a tutti e non mi interessa fare l’occhiolino allo spettatore”, ammette, “al contrario, da figurativo mi importa molto di più far ragionare e mostrare un qualcosa che apparentemente parla di un fatto e invece è altro”.
Giotto mastica le emozioni traducendole nel linguaggio di cui è l’unico padrone e non meraviglia quando rivela di sentire forte dentro di sé il bambino – quale stupore davanti a ciò che accade – e di difenderlo dall’adulto.
Quest’ultimo, a sua volta difende il bambino da sopraffazioni e agenti esterni. Entrambi vedono sia lo stupore che lo shock, e la mano disegna. Per l’occasione, confessa, “la mia parte di bambino è molto felice e la mia parte di adulto ha una grande responsabilità”.
La mostra vede il contributo di “Centrottica Funaro”, “Digital” riparazione e vendita computer e smartphone, “Climatech” srl, oltre allo sponsor tecnico “Firma” corniceria d’arte. Il testo critico della mostra è curato da Emiliano Dante. Giorgia Roca
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