L’AQUILA – Le cose buone richiedono tempo. Che si tratti di un pezzo da scrivere, di una storia d’amore o di una gustosa ricetta, saper attendere è fondamentale per amalgamare gli ingredienti e rendere il risultato unico e speciale. In estrema sintesi, è racchiusa in questo concetto la filosofia di Guido Rispoli, aquilano doc, food lover e blogger creativo che celebra e venera la tradizione culinaria aquilana e italiana dalle pagine scorrevoli del suo sito www.granoesesamo.it.
La passione di Guido per la cucina ha radici lontane, nasce tra odori e sapori del passato e dell’infanzia, piatti assaggiati e preparati un milione di volte, sempre allo stesso modo, rispettando dosi e proporzioni anche senza bisogno di strumenti sofisticati. Le ricette delle nonne sono così, vanno un po’ a occhio ed è forse proprio questo modo di procedere così lontano dalla scienza esatta della cucina moderna a renderle uniche e meritevoli di essere tramandate e preservate.
“Di mestiere ho fatto altro, sono stato un grafico – racconta Guido a Virtù Quotidiane – ma ora questa mia passione ho tutte le intenzioni di portarla avanti. È un modo diverso di esprimere la mia creatività, impegnarmi per far sì che le ricette della tradizione culinaria aquilana, in particolare, non vadano perse, non scompaiano calpestate dalle mode del momento e dal sempre meno tempo che oggi dedichiamo a cucinare”.
Accanto a computer, software, colori e stampe ecco allora arrivare l’occorrente degno di un cuoco professionista per celebrare ogni singolo ingrediente, ricercato, selezionato e trasformato di volta in volta in un piatto diverso.
“L’obiettivo principale per me è sopra ogni cosa far conoscere le ricette della tradizione aquilana. Valorizzare un patrimonio che in altre parti d’Abruzzo e d’Italia è già tenuto in grande considerazione, più di quanto non si faccia qui – sottolinea ancora Rispoli – . Pensiamo al teramano, poche ricette famose in tutto il mondo come le Mazzarelle, le Virtù, i Granetti con le fave, il Timballo sono le basi dell’Accademia della cucina teramana nata proprio per promuovere e far conoscere la tradizione gastronomica del territorio”.
Parliamo dell’Aquila, di gusti e di piatti forse ormai quasi dimenticati, come il Pancotto, di cui si trovano varianti già passando da un Quarto all’altro della città. “Il pancotto del Quarto di San Pietro, per dire, è diverso dal pancotto del Quarto di San Marciano, cambiano le proporzioni della ricetta – spiega Rispoli – di quel piatto unico della tradizione contadina fatto di pane raffermo rigorosamente da lievito madre, cotto con aglio, alloro, olio extravergine di oliva e pecorino”.
Quindi non solo ricordi ma anche ricerca sul campo, un percorso difficile, in assenza di documenti certi al di fuori delle canoniche raccolte di ricette più o meno datate. Da qui il progetto di un Blog, Grano e Sesamo appunto, per raccontare i segreti della cucina domestica, non della cucina da ristorazione nel senso stretto del termine, ma del piacere di portare in tavola a casa propria piccoli frammenti di felicità racchiusi in un piatto. Dove Grano sta per tradizione e Sesamo per innovazione.
In www.granoesesamo.it, sito attivo già da qualche tempo, una delle prime pietanze a essere descritta con dovizia di particolari è stata la Zampanella “fatta alla maniera nostra, all’aquilana. Che poi i romani hanno ribattezzato Panzanella, il piatto più semplice del mondo e anche il più saporito. Va preparata in un certo modo, con il pane casereccio aquilano, perché va utilizzato raffermo e deve avere quella piccola nota acida data dal lievito madre, bagnato con acqua, poi olio delle nostre terre e aceto, pomodoro del tipo ramato, cipolla e origano”.
Il pane aquilano merita un discorso a parte e meriterebbe di gran lunga più spazio: è quello fatto con grano di Solina e patate lessate mescolate nell’impasto, cotto a legna, nei forni di pietra o di tufo, accompagnava i contadini e doveva mantenersi umido e morbido per diversi giorni.
Così come un discorso lungo magari seduti a tavola lo meriterebbero tutte le altre pietanze, dall’agnello uovo e limone ai cannarozzetti lardo e cacio, passando per il riso abbrustolito con l’indivia o le volarelle di pasta all’uovo, cucinate in brodo, che si facevano appunto “volare” infarinate per evitare che si attaccassero le une alle altre. E ancora il baccalà aquilano al sugo con l’uva passa e la cipolla, le ferratelle, le mandorle attorrate.
Cucinare è di sicuro la moda del momento, lo è stato in special modo durante il primo lockdown forzato, forni e fornelli messi a dura prova in gare domestiche di abilità e fantasia. Ma qui si vuole parlare di altro, di cose dimenticate, sapori di un tempo passato e in gran parte purtroppo perduto, lasciando alle tendenze passeggere la briga di proporre piatti veloci da spadellare in cinque minuti o tentativi di imitazione degli chef più famosi. Qui si torna al piano piano, alla masticazione lenta, alla ricerca dei quaderni di appunti con le annotazioni di ingredienti e dosi, ai quanto basta che diventano segreti familiari da tramandare gelosamente.
“Cerco di portare alla luce ricette di cui sono certo, degli ingredienti, della preparazione, della storia e della provenienza. Solo allora, solo dopo una conoscenza approfondita si può parlare secondo me, di innovazione nella tradizione, rispettando la tradizione stessa”.