RIPARTIRE DALLA TERRA DOPO LA PANDEMIA, LA SCOMMESSA DEL CONSORZIO AQUILANO


L’AQUILA – Dall’economia rurale, la filiera corta e la valorizzazione delle produzioni locali potrebbe arrivare la risposta alla crisi senza precedenti causata dalla pandemia da Coronavirus.

Chi la terra l’ha riscoperta già e chi non l’ha mai abbandonata ne è convinto: il futuro passa per la campagna. Tra questi Luca Tarquini, alla guida del neonato Consorzio Aquilano che sta scommettendo sull’unione dei produttori locali con l’ambizione di dar vita a un marchio territoriale riconosciuto e riconoscibile che tuteli innanzitutto chi produce, in molti casi oggi costretto a svendere i propri prodotti, e Daniele D’Angelo, imprenditore agricolo e consigliere comunale dell’Aquila.

La loro esperienza, raccontata oggi da L’Occidentale, guarda a modelli come quelli del Parmigiano reggiano o del prosciutto di Parma, in cui rigidissimi disciplinari garantiscono innanzitutto la qualità del prodotto, ma tutelano anche l’economia locale.

In cantiere ci sono un caseificio, che senza l’emergenza Coronavirus avrebbe già visto la luce, nel quale trasformare il latte degli allevatori locali, in molti casi oggi costretti a svenderlo fuori provincia, linee di allevamento, farine e uova.

“Chi sceglie di partecipare a questa non facile intrapresa lo fa non solo per realizzazione professionale, ma anche e soprattutto per un’etica di rilancio del territorio e delle aree interne”, afferma Tarquini.

“Iniziavamo adesso a riprenderci dalle conseguenze economiche e soprattutto psicologiche del terremoto del 2009 – racconta Daniele D’Angelo -, e questo virus è arrivato come una doccia fredda che in un territorio già messo a dura prova ha paralizzato la voglia di costruire e di intraprendere, producendo per tante piccole aziende un danno economico pesante e già tangibile. Non ci voleva”.

L’iniziativa del Consorzio “che sostengo con convinzione – spiega il consigliere comunale e imprenditore -, ha innescato un meccanismo di coinvolgimento al di là di ogni aspettativa. In meno di un mese (il tempo trascorso dalla presentazione pubblica allo scoppio dell’epidemia) siamo stati sommersi di richieste di collaborazione, diretta e indiretta a livello di filiera. Tanti ragazzi volenterosi si sono sentiti meno soli e ci hanno contattato per sapere come mettere in piedi una piccola azienda agricola, magari ristrutturando quelle dei nonni. Altri che fino a ieri non sapevano nemmeno cosa fosse un consorzio, non avevano idea di come gestire una realtà così grande, oggi sanno che c’è una base dalla quale cominciare insieme”.

D’Angelo è convinto che “la dimensione agricola e turistica legata al nostro territorio montano è la carta da giocarsi e da valorizzare per una ripresa seria della nostra economia locale. Se fossi pessimista, direi che vista la drammaticità della situazione è l’ultima spiaggia. Poiché sono un volitivo per natura, dico che è la nostra grande opportunità”.

“Ve lo dico francamente, da operatore del settore – spiega D’Angelo -: ora c’è questo virus, ma prima o poi insorgerà qualche problema serio per l’uomo a causa della troppa chimica, dei troppi antibiotici, dei troppi fitofarmaci usati soprattutto nella produzione agricola e zootecnica intensiva. Qualcuno già se ne rende conto, ma bisogna diffondere la consapevolezza che mangiare cibo sano prodotto con metodi naturali e in territori incontaminati è anche un investimento sul proprio futuro”.

“Conferire il latte o altri prodotti genuini e di alta qualità alla grande distribuzione, alla pari del frutto della produzione intensiva – fa osservare D’Angelo -, sminuisce il nostro lavoro fino ad annullarlo. Né avrebbe senso tentare di reggere la concorrenza delle grandi aziende mettendosi a competere sullo stesso tipo di mercato. Si farà una cosa diversa. La schiena continueremo a rompercela, e anzi sapere che ogni mattina ci alziamo per creare qualcosa di unico riconosciuto come tale sarà uno stimolo per lavorare ancora più di prima. Ma si lavorerà su un prodotto di nicchia puntando sull’eccellenza territoriale”.

“Formaggi, salumi, polenta tipica nostrana, vecchie sementi del tempo dei nostri nonni riscoperte e già messe in coltura. Grazie alla collaborazione con l’Università di Perugia”, svela D’Angelo, “il consorzio riporterà sui nostri campi razze autoctone scomparse dopo la seconda guerra mondiale: dal maiale nero alla capra aquilana, fino alla pecora sopravvissana, animali rustici che danno un prodotto quantitativamente esiguo ma qualitativamente eccellente. Al contrario di quanto avviene con la produzione intensiva, si tratta di non puntare a grandi quantitativi ma a offrire alimenti di grande pregio, con un marchio di tipicità locale, facendoli pagare il giusto e spiegando alle persone cosa stanno mangiando”.

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