Cantine e vini 20 Mag 2025 16:45

Da Ischia ai Campi Flegrei, di vignaioli eroici, etichette contese e affinamenti sottomarini

ISCHIA – Luigi Veronelli li chiamava gli angeli matti. Sono quei vignaioli talmente innamorati della loro terra da coltivare vigneti nelle condizioni più eroiche. Non è facile da immaginarlo, se non si vede da vicino. Terrazzamenti in cui c’è a volte un solo filare, a strapiombo sul mare, per produzioni d’eccellenza.

A quasi seicento metri sul livello del mare, a Ischia (Napoli), Casa d’Ambra coltiva da quasi un secolo e mezzo il vitigno autoctono dell’isola, la Biancolella. È la tenuta Frassitelli, che dà vita a uno dei vini più conosciuti dell’azienda portata avanti da Andrea D’Ambra e dalle figlie Marina e Sara: “Il lavoro è completamente manuale, l’unico aiuto è rappresentato da una piccola monorotaia con cui risaliamo le cassette d’uva nel periodo della vendemmia”, racconta quest’ultima.

“È tutto estremamente difficoltoso e anche costoso”, rivela la produttrice, tornata nella sua terra dopo gli studi in enologia a Firenze ed esperienze in altre cantine. “La storia della nostra azienda nasce con il mio bisnonno Francesco che acquistava il vino di Ischia e lo vendeva nei barili verso Napoli, nord Italia e Francia. La produzione era talmente alta che si riusciva anche ad esportare”.

La svolta arriva nel 1956 con la seconda generazione rappresentata da Salvatore, Mario e Michele che iniziano la prima produzione con il trittico tipico dei vitigni dell’isola: Biancolella, Forastera e Pér ‘e Palummo che, ancora oggi, sono i principali della produzione di Casa d’Ambra.

La storia della cantina si intreccia con quella di un protagonista della storia del cinema come Luchino Visconti, che aveva eletto Ischia a suo buen retiro. Amico del nonno di Sara, il celebre regista aveva dato suggerimenti sulla realizzazione di un’etichetta che si rivelò troppo simile a quella del Dom Perignon e del suo inconfondibile scudo.

La bottiglia di Biancolella del 1956

Il prozio di Sara, Mario, conobbe il proprietario dell’azienda francese e in una conversazione al porto di Napoli strinsero un patto tra gentiluomini: D’Ambra avrebbe potuto continuare a utilizzare quell’etichetta – che ha ancora oggi sui suoi vini – ma mai per uno spumante.

Ischia, che è stata tra le primissime riconosciute in Italia dopo la legge istitutiva delle denominazioni di origine del 1963, l’anno prossimo festeggia i sessant’anni della sua Doc.

Tanta storia ma anche sperimentazioni con lo sguardo al futuro sull’isola d’Ischia, dove Jamin UnderWaterWines, società nata a Portofino (Genova) specializzata nell’affinamento dei vini sotto le acque del mare, sta creando una cantina subacquea.

“Ischia custodisce una storia millenaria, qui sono passati i greci e i romani. Abbiamo affrontato il periodo dello scandalo del metanolo, dal quale abbiamo scelto di utilizzare solo vitigni autoctoni”, racconta Marco Starace, sommelier di lungo corso e responsabile ischitano della società. “Visto che siamo tra la montagna e il mare, sulla montagna facciamo il vino e in mare faremo l’affinamento”.

E a VitignoItalia, che a Napoli ha richiamato migliaia di persone con duecento cantine da ogni parte del paese, un focus anche su chi produce nella bocca di un vulcano come Antonio Iovino, unico a fregiarsi di una sottomenzione regionale.

“I miei vigneti rientrano nella particella del vulcano Solfatara, la mia azienda è a 5-600 metri dalla bocca principale del vulcano. È stato mio nonno Gennaro, nel 1892, a impiantare la prima vite di Falanghina e Piedirosso” racconta il produttore.

La sua azienda, Montespina Iovino, a 1.100 metri di quota nel cuore dei Campi Flegrei, si estende per 8 ettari di cui 6 vitati su terreni nati da eruzioni vulcaniche e i vigneti sono inseriti nel registro delle “Vigne storiche della Regione Campania”. Antonio è la terza generazione e la porta avanti insieme alla moglie Teresa e ai figli Giuseppe, agrichef dell’apprezzatissimo agriturismo di famiglia, e Consiglia.


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