CASTELLO CINQUECENTESCO, DENTRO IL CANTIERE DELLA FORTEZZA CHE RINASCE

L’AQUILA – Una fortezza che ha mostrato la sua debolezza, o meglio, che ha subito la fortissima violenza del sisma del 2009. È il Castello cinquecentesco dell’Aquila, noto anche come Forte spagnolo.
Da qualche anno è un cantiere aperto, con lavori di grande complessità in corso.
Ad accompagnarci all’interno l’architetto Antonio Di Stefano, della Soprintendenza per L’Aquila e il cratere che racconta a Virtù Quotidiane lo stato dell’arte.
Gli interventi in atto riguardano tutta l’area con gli archi, a destra dell’entrata, che conduce verso il bastione dove, indisturbato, si trova l’amato Mammuth, già oggetto di restauro nel 2015.
“Abbiamo concluso da un paio di mesi il lavoro sui pilastri del lato d’entrata, è stato un lavoro difficilissimo, che a volte non mi ha fatto dormire – racconta Di Stefano – . Lo stato dei pilastri ci ha mostrato tutta la violenza del sisma e la sua accelerazione. Sono stati letteralmente tagliati quasi alla base, come ci fosse stata una cerniera e sono andati in rotazione”.
Una rotazione che riusciamo a scorgere anche oggi, dopo che sono stati letteralmente salvati, recuperati e resi sicuri con un complesso lavoro divenuto possibile anche grazie a strutture di sostegno e di intervento, create e messe in opera per rendere possibile il tutto.
“Con la preziosa collaborazione dell’ingegnere strutturista Haimen Herzallah, abbiamo creato una struttura per intervenire sui pilastri, che è stata sottoposta a prove di tenuta e di reazione, sensibile anche al movimento impercettibile dato dal vento, con sistema di allarme che si attivava all’eventuale superamento di range di movimento”.
Senza questa salda costruzione ingegneristica non si sarebbe potuto intervenire senza subire crolli in corso d’opera. Si trattava, in concreto, di sorreggere e contenere i pilastri nella parte alta, mentre si interveniva sulle loro basi.
“Abbiamo dovuto smontare la fascia muraria interna dei pilastri fino a mettere a nudo il nucleo, che non è tutto in pietra squadrata – prosegue Di Stefano – e il nucleo stesso è stato poi consolidato con malte speciali. Nel rimontare i conci, inoltre, abbiamo collocato zanche (strutture di ancoraggio, ndr) in acciaio che li collegano tra loro e verso l’interno. Il nucleo stesso è stato impacchettato con una barra di acciaio filettante”.
La struttura al lato destro dell’entrata, nel 2009 sede del Museo nazionale d’Abruzzo, oggi denominato Munda e ubicato in un’altra zona della città, in via Tancredi da Pentima, è stata fortemente colpita dal sisma. Le volte, oggi, sono state consolidate, con travi piatte inserite per ripartire i carichi, con l’uscita verso i pilastri sul cortile, proprio al centro degli stessi.
Necessario, nell’intervento di recupero e restauro, era evitare il ribaltamento verificatosi invece nei piani più alti, e a questo scopo sono stati creati sistemi di ancoraggio e collegamento.
Il danno verificatosi nasce dalla struttura stessa del Castello. Fu realizzato nel 1534 su progetto dell’architetto e capitano dell’esercito di Carlo V, Pedro Luis Escrivá. In epoca più tarda si realizzarono altre parti, tra le quali la sopraelevazione del corpo di facciata, che risalgono all’ottocento. E la profonda differenza tra le parti, che rendevano di fatto la struttura non omogenea, è stato un vulnus che si è palesato nel sisma del 2009.
“Abbiamo trovato un collasso di materiale lapideo dovuto alla differenza tra le parti murarie – spiega l’architetto Di Stefano – , la struttura antica cinquecentesca ha muri dello spessore di 6 metri, mentre nella parte alta, ottocentesca, lo spessore degli stessi è di circa 80 centimetri. Su questi muri più leggeri gravava un tetto e un sottotetto in latero-cemento”, e così il 6 aprile 2009 il secondo piano della struttura museale è letteralmente esploso. Portando con sé le conseguenze di preziose opere d’arte da salvare.
Il pensiero dell’architetto a quei giorni va ai Vigili del fuoco del nucleo Saf (Speleo Alpino Fluviale). “Sono loro i veri angeli di questa città – ricorda con emozione – per l’aiuto dato alle persone e per il lavoro infaticabile della messa in sicurezza del patrimonio culturale, e qui in particolare delle opere del museo. Molte sono state tirate fuori dalla finestra, ma per alcune è stato estremamente complesso e i vigili hanno sfruttato la parte muraria più in basso letteralmente ancorando cavi d’acciaio come fossero redini di un cavallo per rendere possibili alcuni salvataggi altrimenti impossibili. Quei momenti sono indimenticabili per me”.
Il danno in quei piani museali, dunque, è stato enorme. “Il fronte interno si era ribaltato verso il cortile, il resto era in rotazione di 15 cm ogni 5 metri. I muri interni, tra le stanze nel primo e secondo piano, sono risultati dissasati, ovvero spostati rispetto al setto murario del piano terra, per questo abbiamo creato un complesso sistema per non gravare verso il basso, come se le pareti oggi fossero appese, impacchettate da profilati d’acciaio che evitano il carico sulla volta sottostante”.
Non solo, la porzione del muro museale che era caduto verso il cortile, è stato intermezzato da setti, che interrompono un muro, altrimenti libero, e più esposto a eventuali forze esterne, lungo più di 50 metri.
Oggi quell’ala del castello è quasi pronta, si completa l’impiantistica, si lavora sui pavimenti, si finisco i restauri sui soffitti lignei realizzati dalla ditta individuale L.A.A.R. Laboratorio Artigiano Arte e Restauro di Domenico Ruma.
Sono state create, inoltre, due scale in acciaio, ancorate al soffitto, che saranno poi rivestite in pietra, per salire nel sottotetto, che non sarà tutto chiuso, ma avrà un’apertura, di respiro, verso la il piano basso.
Due ascensori renderanno possibile l’accesso a tutti i piani anche a coloro non possono salire le scale.
Nel Castello che tornerà alla città, inoltre, il tetto di questa ala non sarà più in latero-cemento, ma in legno di castagno.
Sono stati messi gli infissi a secco, non soggetti a condense, lavorati i soffitti, anche esterni, con sistemi di coibentazione.
Anche il Castello, come ogni luogo della nostra città, ci regala una sua creatura ancora nascosta: una scala affrescata, in parte già nota, che oggi, grazie ai lavori, ci conduce in luogo prima non conosciuto, un’area con pavimento in acciottolato originale dove il tenutario del Castello poteva scendere per seguire le funzioni religiose.
Parte dell’intervento in via di conclusione riguarda anche la parte sinistra del castello, l’unica non ancorata alla struttura muraria del ‘500, per la presenza di un’intercapedine. Oggi il sostengo è dato da dissipatori che la collegano direttamente al muro retrostante. Sul tetto nuovi coppi fatti a mano, e a provata tenuta antigelo, realizzati in una fornace della zona di Rovigo.
I lavori complessivi di restauro e ricostruzione del Castello sono divisi in tre lotti, l’impresa appaltatrice è la Rti guidata dalla Sac, Società Appalti e Costruzioni.
Completate le opere riguardanti l’ala d’ingresso occupata dal museo e quella a sinistra del cortile, si potrà proseguire.
“Non chiedetemi date – conclude l’architetto Di Stefano – ma se la liquidità, come credo, non si interromperà, in due anni e mezzo avremo restituito il castello alla città”.
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