GRANO ARSO E LIEVITAZIONE CON GHIACCIO, PANE DEGLI ANGELI RISCOPRE ANTICHE CULTURE
L’AQUILA – Dal pane fatto con il grano arso alla ‘pinsa’ soffiata, l’antica focaccia romana impastata con il ghiaccio, fino al lievito madre alimentato con miele locale e purea di mele, quello di Sergio Muti e Tiziano Calvitti, titolari del forno aquilano Pane degli Angeli è un viaggio indietro nel tempo alla riscoperta di usanze antiche della cucina povera dei contadini di una volta.
Per gli Egizi, che nel 3500 a.C. scoprirono la fermentazione, il pane non era solo una fonte di cibo ma anche di ricchezza. La semplicità dei suoi ingredienti, farine di cereali con acqua e lievito madre, lo rendono un bene indispensabile che da secoli ha un posto fondamentale nella tradizione mediterranea e su ogni tavola che si rispetti.
I due interpreti di quella che è definita per eccellenza l’arte bianca della panificazione hanno voluto riscoprire culture antiche, abbandonate del tutto, o quasi, anche a causa dell’industrializzazione che usa farine troppo raffinate, lievitazioni brevi e additivi che abbassano drasticamente il livello qualitativo del prodotto.
Il grano arso è costituito dai chicchi di grano che rimanevano sul terreno dopo la bruciatura delle stoppe e che i braccianti agricoli, in tempi di povertà, chiedevano ai proprietari terrieri di recuperare con il rastrello per fare il pane dei poveri ma anche pasta e dolci.
“Usando in modo assoluto il grano arso, che oggi ha costi elevati, ne risulta un forte sapore di affumicato. Ecco perché noi ne utilizziamo una parte nell’impasto del pane ai sette cereali che ha un aroma delicato molto apprezzato dai nostri clienti”, svela Sergio a Virtù Quotidiane.
Il termine ‘pinsa’ viene dal latino ‘pinsere’ che significa allungare, stendere. Una pizza condita con un filo d’olio e qualche chicco di sale ad alta digeribilità, squisita nella sua leggerezza, così come è fatta oggi dal forno Pane degli Angeli.
“Gli antichi romani – racconta Sergio – impastavano le farine di allora, che non erano raffinate come quelle di oggi, con l’acqua gelata del Tevere. Il risultato era un impasto soffiato, morbido, elastico che si gonfiava con l’aria calda del forno fino a diventare una focaccia leggera e ariosa. Noi impastiamo la farina con il ghiaccio, questo perché l’impasto gira per più di mezz’ora nell’impastatrice e raggiungerebbe temperature troppo elevate, a 36 gradi infatti i fermenti della lievitazione muoiono. L’impasto raffreddato a circa 4 gradi, oltre a mantenere i lieviti in vita, viene infornato a circa 300 gradi con il risultato di una lievitazione esplosiva, soffice, fragrante e leggera”.
“Oltre alla Solina, al grano Cappelli, la saragolla e farine prodotte localmente, utilizziamo il lievito madre auto prodotto – dice il fornaio – Nato con la farina, lo yogurt e il miele locale, periodicamente aggiungiamo al nostro lievito madre mele verdi frullate che oltre a rappresentare un ottimo nutrimento favoriscono un aroma particolare. Per il lavaggio, il lievito madre deve essere risciacquato periodicamente, utilizziamo acqua e miele, quattro cicli ogni sei ore, una garanzia per il risultato finale”.
La possibilità di panificare riscoprendo antiche ricette della cucina povera è diventata realtà nell’immediato post-terremoto del 2009, quando Sergio e Tiziano decidono di dare forma al loro sogno comune, aprire un forno dedicato alle vittime del sisma, alcune di famiglia. Da qui il nome Pane degli Angeli.
Guardia giurata per oltre venti anni, Sergio ha sempre avuto la passione per il pane e le farine, oggetto di studio e sperimentazioni casalinghe. Tiziano, panettiere per professione con la passione per la musica, decide di aprire un forno tutto suo perché rimasto senza più lavoro dopo la chiusura dello storico forno Trippitelli presso il quale lavorava. Nasce così Pane degli Angeli 307, il numero è quello delle vittime del sisma dell’Aquila meno due che si aggiunsero alla lunga lista solo qualche tempo dopo.
Alla domanda sul prodotto del cuore o di punta che dir si voglia, il panettiere Sergio risponde: “È come chiedere ad un padre qual è il figlio più bello”.
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