FATTORIA NICODEMI, IL VERO TREBBIANO D’ABRUZZO VINIFICATO IN COCCIOPESTO

NOTARESCO – Un sentiero geometricamente disegnato da grandi cipressi, perfettamente curati, conduce in quello che è un vero e proprio borgo dove si anima Fattoria Nicodemi.
Fondata nel 1970 da Bruno Nicodemi, l’azienda vitivinicola biologica svetta a Notaresco, nel cuore delle colline teramane.
Basta affacciarsi dal piazzale, dove, dislocati in 3 edifici differenti, si trovano gli uffici amministrativi, un piccolo shop, la cantina per la vinificazione in acciaio e la bottaia per quella in legno con annessa una luminosa sala degustazioni dalla vista mozzafiato, per godersi in un unico grande colpo d’occhio ben 30 dei 38 ettari vitati di proprietà della famiglia Nicodemi.
Dal 2000 in mano ai fratelli Elena e Alessandro, Fattoria Nicodemi si dedica alla coltivazione esclusiva di due vitigni autoctoni: montepulciano e trebbiano.
“Negli anni ’70 – ricorda a Virtù Quotidiane Elena Nicodemi, seduta nel suo ufficio con affaccio sulle verdi colline – nostro padre Bruno trasformò la fattoria di proprietà di famiglia in azienda vinicola, cominciando a imbottigliare il montepulciano e il trebbiano fino ad allora venduti sfusi. Negli anni ’80 i nostri vini trovarono terreno fertile in Europa, Asia e negli Stati Uniti. Noi vivevamo a Roma e l’azienda dove venivamo a trascorrere le vacanze estive rappresentava un luogo di gioco, di svago”.
Le cose cambiano nel ’97, quando la scomparsa di papà Bruno induce Elena e Alessandro a ripensare al loro ruolo in azienda.
“Ci siamo resi conto che c’erano tantissime cose inespresse e noi avevamo voglia di metterci del nostro”. E così, con quella che Elena definisce “incoscienza”, i due fratelli lasciano Roma e tornano a Notaresco per occuparsi a 360 gradi del loro progetto che vede nella sperimentazione continua la fiamma che lo alimenta.
“Abbiamo sempre cercato di sperimentare – rivela – perché credo che faccia parte del nostro lavoro e perché la curiosità è quell’elemento che fa andare avanti. A partire da questa filosofia di fondo, negli ultimi anni ci siamo dedicati a un progetto che comincia con il trebbiano, un vitigno troppo mortificato, sul quale invece si può fare tantissimo, e che si estenderà anche al montepulciano”.
La novità di Fattoria Nicodemi è infatti quella di una vinificazione del trebbiano in grandi giare di cocciopesto, ossia realizzate con un impasto a crudo composto di cocci di laterizi macinati, frammenti lapidei, sabbia, legante e acqua che viene asciugato al naturale per almeno 30 giorni.
Una miscela che nell’antica Roma era utilizzata per rivestire gli acquedotti. “Il materiale – spiega Elena – mostra una notevole microporosità che porta a esaltare, nella vinificazione e nel successivo processo di affinamento, le qualità organolettiche, arricchendo e amplificando l’aroma del vino senza che questo sia contaminato sul profilo olfattivo o gustativo dal materiale stesso”.
Il progetto dei fratelli Nicodemi comincia dal trebbiano 2017 delle pergole piantate 50 anni fa da papà Bruno.
“Avendo a nostra disposizione delle uve trebbiano che raggiungono una buona maturazione fenolica, ovvero una buona maturazione delle bucce, ci affascinava l’idea di vinificarle come si faceva una volta, quindi con la macerazione, come accade per i vini rossi. Avevamo già sperimentato diversi contenitori per la fermentazione, ma i materiali che costituivano questi recipienti influenzavano il prodotto finito con contaminazioni olfattive e gustative. La nostra scelta si è indirizzata proprio sul cocciopesto, perché il nostro desiderio era quello di lasciare che le uve trebbiano si esprimessero liberamente, senza contaminazioni olfattive e gustative date dal materiale nel quale si lavora il vino”.
Le uve del vigneto allevato a tendone ed esposto a nord-ovest, vengono raccolte manualmente in cassette di circa 20 kg. Vengono poi diraspate, ma non pigiate e messe nel cocciopesto dove fermentano solo con lieviti indigeni.
La macerazione, ovvero il contatto con le bucce, dura per circa 10 giorni nei quali si eseguono follature manuali. Dopo questo periodo il vino viene svinato e rimesso nel cocciopesto dove termina la fermentazione e continua il suo affinamento fino al momento dell’imbottigliamento che avviene senza filtrazione.
“Il passo successivo – dice – è stato quello di seguire l’evoluzione del vino con metodo per far esprimere il trebbiano, sicuramente attraverso la nostra interpretazione, ma soprattutto per le caratteristiche intrinseche di queste uve, senza eccessive ossidazioni o strane deviazioni olfattive e gustative che molto spesso abbiamo riscontrato in questa tipologia di vino e che tendono non solo a mortificare il vitigno, ma anche ad omologare i vini stessi. Siamo entusiasti di questo nuovo vino, senz’altro particolare, e con una sua propria identità”.
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