Enogastronomia 18 Mar 2023 19:40

VINI D’ANNATA VS ULTIMA VENDEMMIA, COI RISTORATORI LA BATTAGLIA (PER ORA PERSA) È UN FATTO CULTURALE

degustazione vino

PESCARA – Vini giovani, imbottigliati da poco, che arrivano nei ristoranti, spodestando, spesso immotivatamente, i loro “colleghi” dell’anno precedente, soltanto per il loro essere d’annata.

Accade spesso nei ristoranti che, da gennaio, con l’ingresso in commercio dei vini dell’ultima vendemmia gli osti smettano di servire le bottiglie dell’anno precedente, come se queste avessero esaurito la loro vita naturale, facendole sparire dalle tavole, ma persino dalle loro cantine o, peggio, proponendole scontate. Parliamo di vini Cerasuolo ad esempio, o ancora di Trebbiani e Pecorini, di pronta beva.

Eppure la realtà è spesso ben diversa e seppure le regole consentono la loro commercializzazione, questo non significa che i vini appena imbottigliati siano al meglio della loro espressione, né tantomeno che quelli dell’anno prima debbano essere gettati nel dimenticatoio.

Un tema che cozza non solo con le sfumature che una bottiglia può acquisire proprio grazie al tempo (e non ci riferiamo solo ai grandi rossi), ma anche con gli enormi quantitativi di vino invenduto con cui oggi le aziende vinicole devono fare i conti, a causa di un’enorme contrazione dei consumi che ha peraltro portato la Regione Abruzzo ad adottare il blockage.

“Ormai c’è la corsa a uscire subito con il vino nuovo – conferma a Virtù Quotidiane il professor Leonardo Seghetti, agronomo di fama e consulente di numerose cantine – con ristoratori e consumatori poco attenti che tendono a privilegiare le bottiglie d’annata. Eppure i vini dell’anno prima continuano ad avere caratteristiche positive e ad acquisire una maturazione organolettica”.

Per l’esperto il problema è di “scarsa preparazione di alcuni osti che non conoscono nemmeno le regole base dell’abbinamento con il cibo e di scarsa cultura. Il consumatore non è sempre informato, ma neanche il ristoratore fa nulla per informare e anzi dovrebbe essere lui a fornire l’indicazione più giusta sul vino da proporre a tavola”.

A pensarla come il professore è Filippo De Sanctis, ristoratore di San Vito Chietino (Chieti) da generazioni, che da un po’ di tempo ha persino avviato serate a tema dedicate proprio ai vini vintage: cene-degustazioni alla cieca, dove le protagoniste sono proprio le bottiglie degli anni passati, che De Sanctis ha ribattezzato “gli invendibili”.

“Nell’ultima serata che abbiamo fatto, il vino più giovane era del 2018 e quello più vecchio del 2004 e quest’ultimo era un trebbiano, per fare un esempio – racconta – .  Ho una carta dei vini dove non c’è indicazione dell’annata, perché garantisco al cliente che servo un prodotto secondo me al massimo della propria espressione. Penso che il cliente debba essere consapevole che non è detto che l’annata nuova sia migliore e il ristoratore deve informarlo. È chiaro che ci sono prodotti figli di una produzione veloce e di un affinamento breve che non sono pensati per stare troppo in bottiglia e in quel caso il mercato ha ragione”.

Per tutti gli altri casi, secondo Filippo, è meglio che il vino trascorra un tempo in bottiglia di almeno 6-10 mesi, “perché lo stress dell’imbottigliamento lo si ritrova nel calice – dice ancora – . Con il passare del tempo spesso si notano dei miglioramenti. Ci sono casi di prodotti di qualità che dopo qualche anno continuano a crescere e anzi tirano fuori sentori secondari, profumi complessi, perdono la nota acida e acquisiscono una rotondità e diventano vini da accompagnare”.


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