PAOLO BARILLARI, IL CACCIATORE DI UVE CHE ESPLORA I VITIGNI MENO NOTI

TERAMO – “Ispirare l’esplorazione tramite il bicchiere, passando tra i territori e i vitigni che più li rappresentano, cercando di proteggere quelli minori, che per motivi vari sono più di nicchia”. Partendo da questo primo obiettivo, Paolo Barillari si è trasformato in un vero Cacciatore di uve.
Esploratore di territori e vitigni che ha già cominciato la sua caccia anche in Abruzzo, tra le colline teramane.
Trentatré anni, dell’Oltrepò Mantovano, con genitori di origini calabresi, questo enologo esperto in web marketing e management del settore vinicolo, appena dopo la laurea si è messo a girare il mondo.
Canada, Francia, Australia, Nuova Zelanda e poi il ritorno in Italia dove ha deciso di dare una direzione più precisa a quel desiderio di esplorare cresciuto nel tempo.
“Mi sono appassionato al mondo del vino al quinto superiore, dopo una visita alla cantina Bellavista e un colloquio con l’enologo Mattia Vezzoli che mi ha letteralmente illuminato”, racconta a Virtù Quotidiane, a pochi giorni dalla sua partecipazione a Terrae, la rassegna di Barrea (L’Aquila), nel cuore del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, dedicata alla ricchezza agroalimentare del belpaese.
È il Canada, il suo primo viaggio all’estero che gli fa scoprire “l’archetipo dell’esplorazione che muove me e il progetto Cacciatore d’Uve”, continua.
E in effetti le esperienze collezionate in Champagne per quattro mesi, poi in Australia che raggiunge per partecipare a una vendemmia e dove invece resta per tre anni, accrescono via via il sogno di Barillari.
“Quando ero in Australia facevo piccole partite di uva da 10 ettolitri per farmi il vino personale, lavorando in modo estremamente artigianale – racconta -. Lavoravo con il sangiovese e il nebbiolo perché era un modo per mantenermi connesso a casa. Rientrato in Italia il progetto si è ampliato, e pezzetto dopo pezzetto si è costruito tutto”.
Da qualche anno Paolo ha cominciato a collaborare con alcuni vignaioli, acquistando le uve e realizzando una sua piccola produzione.
“La parte secondaria del mio progetto è che io non sono vigneron, ma collaboro con alcuni di loro. Io riconosco un prezzo di mercato più alto del 50 per cento in più e lo faccio per incentivare un sistema dove tutti gli attori della filiera siano coinvolti, sperando che i vigneron possano continuare a coltivare anche i vitigni più difficili”.
La ricerca di questo esploratore del vino si focalizza proprio sui vitigni di nicchia e in cantina la produzione è il più artigianale possibile, con il minor intervento. Al momento il territorio su cui ha puntato è il Veneto, tra i Colli Euganei e i Monti Berici.
“Il carménère è un po’ il mio cavallo di battaglia – ammette -. È un vitigno che è stato soppiantato da altri, perché produce poco e in cantina è ostico. Io ho cominciato proprio da questo vitigno il mio percorso attraverso i territori di origine primordiale vulcanica”.
Nel 2020 al primo vitigno se ne sono aggiunti altri due: il tai rosso dei Monti Berici, con cui Paolo produce un vino rosa di stile provenzale, ma con influenza da sud Italia.
“Un modo per riconoscere tutte le parti di me”, dice. Poi c’è la garganega, “cercando di esaltare il territorio tramite l’uso della macerazione”.
Infine c’è un quarto vino, che è un rifermentato. Su ogni etichetta c’è una illustrazione artistica della sua rappresentazione o dell’origine geologica del territorio oppure della morfologia principale.
“Ogni territorio di caccia appartiene a un volume, come se fosse una collana editoriale – spiega – . Questo primo volume si chiama ‘La caccia dei vulcani’ e ogni vino è un capitolo”.
Ecco quindi che sono venuti fuori i vini Carménère, Garganega, Riflessi di Tai Rosso. Poi c’è il quarto che è una sorta di sintesi. “È il vino dell’esplorazione annuale. Si chiama Wandering. Esula dal territorio. È il vino dell’amicizia fatto con garganega e un po’ di vespaiola, ma l’anno prossimo potrebbe essere qualcosa di completamente diverso”.
La caccia di Paolo continua e si espande in altre zone. Il prossimo terreno di esplorazione per il 2022 è proprio l’Abruzzo. Sulle colline teramane, Barillari ha individuato un vignaiolo.
“Ho scelto di lavorare sul Cerasuolo, dandogli la mia interpretazione e poi sulla falanghina, che è un vitigno che era presente in Abruzzo, ma è stato un po’ scalzato da passerina e pecorino. Credo che possa tirare fuori una parte minerale interessante in affinamento”. Il 2022 vedrà un lavoro anche sul carménère, poi sulla garganega che questa volta potrebbe essere declinata in anfora, “poi ci sarà un fuori rotta con il pinot nero e una nuova versione del Wandering. L’obiettivo principale alla fine è di cercare di tirare fuori prodotti di estrema eleganza e grande finezza – sottolinea – ben bilanciati a livello di bocca e naso, perché tutto deve essere nel segno della piacevolezza”.
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