PASTA PÉRRICATO, UNA PICCOLA STORIA PERSONALE DI RITORNO ALLA TERRA

L’AQUILA – Questa storia è personale, riguarda me, Alessandro Chiappanuvoli, e l’attività che ho deciso di intraprendere con la mia famiglia e con l’aiuto di tante persone, ma a suo modo è anche esemplare, ed è per questo motivo che sono felice di poterla raccontare su Virtù Quotidiane, perché, in fondo, incarna i valori in cui da tanti anni crediamo come redazione.
È la storia di quella che ho chiamato Pasta Pérricato, la mia pasta, che prende il nome dal campo in cui da appena un anno coltivo il grano, ovvero la vecchia vigna di mio nonno a San Vittorino (L’Aquila). Ma dobbiamo fare un passo un po’ più indietro, dobbiamo tornare al 25 giugno 2021 in occasione dell’evento “Cum Panis”, dedicato alla memoria di Giovanni Cialone, che celebrava la nascita della Comunità Slow Food del pane casereccio aquilano di grani di montagna. Sicuramente non un caso.
È stato quel giorno, infatti, che ho incontrato Mario (di tutti e tutte i protagonisti dirò solo i nomi), un vecchio amico, che mi ha consigliato di coltivare del grano sul campo di nonno ormai incolto da decenni. “Non serve nulla di particolare”, mi ha detto, “e io posso seguirti in tutte le fasi”. E così è stato.
A fine ottobre, Mario mi ha regalato il quantitativo di sementi necessario, quelle del grano antico saragolla, che lui stesso coltiva da qualche anno come passione con un gruppo di amici. A me, invece, è spettato il compito di trovare chi arasse e seminasse il campo, e mi è venuto in aiuto Alessio, un mio compaesano grande appassionato di agricoltura. In un paio di giorni era tutto fatto e non restava che attendere l’estate successiva.
Le spighe di grano saragolla splendevano al sole quando, il 29 luglio, il compleanno di mio padre, siamo andati come fosse una festa a fare la trebbiatura. C’erano Mario, il suo amico Ibrahim, i miei genitori e zio Mauro, e c’era Marco che, seduto sulla trebbiatrice, in pratica ha fatto tutto il lavoro. Noi abbiamo solo caricato i sacchi pieni in auto.
Sono lontani i tempi in cui si trebbiava a mano, era un lavoro impegnativo che coinvolgeva le famiglie, le comunità, e non poteva che trasformarsi in una festa collettiva utile a esorcizzare l’enorme fatica che comportava. Per le mie sei coppe di terreno, invece, è basta un’oretta di lavoro, che non ha tolto, però, dallo sguardo dei miei genitori una commozione dal sapore antico.
Il raccolto ha prodotto circa tre quintali di grano. La cosa più bella è stata immergerci le mani e sentirli cadere tra le dita. Questo gesto per me non era nuovo. Mi ha ricordato i sacchi dei mangimi che nonno usava dare alle centinaia di conigli che allevava, e quando mi chiedeva a metterne una latta per ogni gabbia, due per le madri con i cuccioli.
I tre quintali di grano saragolla, grazie ai pochi mulini che resistono in zona facendo un lavoro prezioso quanto sottopagato, è diventato farina. Un po’ di questa farina l’abbiamo provata in casa, un po’ è andata a delle amiche di mia madre, la maggior parte, ancora grazie al grande aiuto di Mario, è partita per due pastifici pescaresi, l’uno capace di farne fettuccine, l’altro pasta corta da minestra. Ma non è ancora tutto.
Preso dall’entusiasmo, e nonostante la pasta fosse già confezionata, ho deciso di chiedere a un’amica illustratrice, Alessia, di ideare un’etichetta, cosa che mi ha spinto a pensare sia a un nome sia a un logo. Ed ecco come nasce la Pasta Pérricato brandizzata nel volto stilizzato di mia nonna Teresa, da una commistione di aiuti, di collaborazioni, d’impegno distribuito tra le parti e di tante passioni che insieme hanno dato vita a un grandissimo potenziale.
Ma di tutta la faccenda, l’unica cosa che la Pasta Pérricato vuole raccontare direi sia un’altra. Gli esseri umani da sempre hanno affrontato immense fatiche per sopravvivere, una di queste è stato il rapporto con la terra, l’agricoltura insomma, quest’arte che oggi ci sembra quasi aver perso del tutto valore. Quel duro lavoro, però, si affrontava insieme, condividendo fatiche ma anche soddisfazioni; con le dovute differenze, un po’ come abbiamo fatto io e le splendide persone che ho intorno. Lavorando come una piccola comunità, in definitiva, la nostra esperienza insegna che con poco sforzo si può tornare ad avere un rapporto reale con la terra e a godere a pieno dei suoi frutti genuini.
Ecco, magari questa piccola storia stimolerà qualcuno a intraprendere un cammino simile. La terra è lì ad attenderci.
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